Tenore di vita e natura dell’assegno di separazione e di divorzio fino alla decisione delle Sezioni Unite del 2018
Fino alla rivoluzionaria recente decisione con cui le Sezioni Unite hanno dato una nuova interpretazione alla natura dell’assegno divorzile (Cass. civ. Sez. Unite, 11 luglio 2018, n. 18287), la giurisprudenza aveva egli ultimi trent’anni attribuito all’assegno di separazione e di divorzio una omogeneità di funzioni basata sulla simmetria interpretativa tra l’art. 156 del codice civile e l’art. 5, comma, 6 della legge sul divorzio (nel testo modificato nel 1987). La breve parentesi determinata dalla giurisprudenza della prima sezione della Corte che per un certo periodo ha proposto una ardita interpretazione dell’art. 5, comma 6, della legge sul divorzio (Cass. civ. Sez. I, 10 maggio 2017, n. 11504 e altre successive) non ha sostanzialmente scalfito quella omogeneità trentennale anche se è stata decisiva per giungere con le Sezioni Unite ad una nuova interpretazione.
Per meglio intendere la situazione attuale è opportuno soffermarsi brevemente su questa trentennale omogeneità interpretativa.
L’art. 156 del Codice Civile
La disciplina giuridica dell’assegno di mantenimento coniugale di separazione e di quello divorzile è contenuta rispettivamente nell’art. 156 del codice civile e nell’art. 5 della legge 1° dicembre 1970, n. 898 come modificata dalla legge 6 marzo 1987, n. 74.
a) L’assegno di separazione [1]
L’art. 156 del codice civile disciplina gli effetti della separazione sui rapporti patrimoniali tra coniugi prevedendo che il coniuge al quale la separazione non è addebitata ha “diritto di ricevere dall’altro coniuge quanto è necessario al suo mantenimento, qualora egli non abbia adeguati redditi propri”. L’entità di questa somministrazione – avverte la stessa disposizione – “è determinata in relazione alle circostanze e ai redditi dell’obbligato”.
Le scarne indicazioni che emergono dall’art. 156 c.c. – risalenti alle modifiche introdotte nel codice con la riforma del 1975 – lasciano intendere che la condizione giuridica dei coniugi in sede di separazione, da un punto di vista delle obbligazioni di contribuzione e sostegno economico reciproco, è sostanzialmente la stessa di quella sussistente nel corso del matrimonio, sia pure trasformata in obbligazione di somministrazione del mantenimento. La separazione, d’altro lato, non scioglie il matrimonio ma ne elimina solo i vincoli giuridici di natura personale di coabitazione, fedeltà e collaborazione. Con la conseguenza che l’obbligazione di mantenimento in sede di separazione nelle intenzioni di chi ha formulato in tal modo la norma, ha sostanzialmente la stessa natura di quella che ai sensi dell’art. 143 c.c. costituisce la regola contributiva primaria del vincolo matrimoniale. L’obbligo di contribuzione, quindi, permane, trasformandosi in obbligo di somministrazione del mantenimento, sempre che si verifichino i presupposti indicati nell’art. 156 che condizionano in sede di separazione il permanere di questa obbligazione.
La continuità fra matrimonio e stato di separazione
Questa continuità tra il matrimonio e lo stato di separazione è esplicitata con frequenza nella giurisprudenza. Per esempio molto chiaramente Cass. civ. Sez. I, 11 dicembre 2003, n. 18920 afferma che “la separazione instaura un regime il quale, a differenza del divorzio, tende a conservare il più possibile tutti gli effetti propri del matrimonio, compatibili con la cessazione della convivenza e, quindi, anche il tenore e il tipo di vita di ciascuno dei coniugi, nel senso esattamente che solo con il divorzio la situazione muta radicalmente, tanto da far residuare tra gli ex coniugi solo un vincolo di solidarietà di tipo preminentemente assistenziale” e Cass. civ. Sez. I, 21 aprile 2000, n. 5253 avverte che “durante la separazione personale non viene meno la solidarietà economica che lega i coniugi durante il matrimonio, la quale comporta la condivisione dei reciproci mezzi economici”. In Cass. civ. Sez. I, 22 aprile 1998, n. 4094 e Cass. civ. Sez. I, 10 marzo 1994, n. 2349 si legge che “durante la separazione personale non viene meno la solidarietà economica che lega i coniugi durante il matrimonio e che comporta la condivisione delle reciproche fortune nel corso della convivenza”.
Proprio per tutte queste ragioni l’art. 156 c.c. – che attribuisce ad un coniuge “il diritto di ricevere dall’altro coniuge quanto necessario al suo mantenimento, qualora egli non abbia adeguati redditi propri” – è sempre stato interpretato nella prospettiva di continuare a garantire al coniuge debole dopo la separazione lo stesso tenore di vita goduto durante la convivenza matrimoniale.
Si parla, in proposito, di funzione assistenziale dell’assegno di separazione intendendo riferirsi al sostegno di natura solidaristica e perequativa che determina in un coniuge l’obbligazione di soccorrere l’altro coniuge che non abbia “adeguati redditi propri”.
Per quanto riguarda l’assegno di separazione la giurisprudenza degli ultimi decenni non ha mai dubitato della funzione assistenziale intesa come diritto ad un mantenimento che possa assicurare lo stesso tenore di vita avuto in costanza di matrimonio.
Per esempio già Cass. civ.. Sez. I, 19 ottobre 1981, n. 5446 affermava che “il diritto al mantenimento, a seguito di pronuncia di separazione personale, sorge non quando il coniuge beneficiario versa in stato di bisogno, ma quando i redditi dello stesso non siano adeguati a sostenere il tenore di vita goduto in regime di convivenza”; in Cass. civ. Sez. I, 13 gennaio 1987, n. 170 si legge che “l’espressione qualora non abbia adeguati redditi propri è interpretata dalla giurisprudenza nel senso che il difetto di redditi o di redditi adeguati non va inteso come stato di bisogno, bensì come difetto di redditi sufficienti ad assicurare al coniuge il tenore di vita goduto in regime di convivenza matrimoniale”
La stessa interpretazione è stata poi sistematicamente proposta da tutta la giurisprudenza (Cass. civ. Sez. I, 27 febbraio 1995, n. 2223; Cass. civ. Sez. I, 28 aprile 1995, n. 4720; Cass. civ. Sez. I, 26 giugno 1996, n. 5916 e Cass. civ. Sez. I, 27 giugno 1997, n. 5762; Cass. civ. Sez. I, 4 aprile 1998, n. 3490; Cass. civ. Sez. I, 7 marzo 2001, n. 3291, Cass. civ. Sez. I, 28 settembre 2001, n. 12136, Cass. civ. Sez. I, 4 aprile 2002, n. 4800, Cass. civ. Sez. I, 19 marzo 2002, n. 3974, Cass. civ. Sez. I, 8 agosto 2003, n. 11965; Cass. civ. Sez. I, 18 settembre 2003, n. 13747; Cass. civ. Sez. I, 12 dicembre 2003, n. 19042; Cass. civ. Sez. I, 19 marzo 2004, n. 5555; Cass. civ. Sez. I, 2 luglio 2004, n. 12121; Cass. civ. Sez. I, 22 ottobre 2004, n. 20638; Cass. civ. Sez. I, 29 aprile 2005, n. 8940, Cass. civ. Sez. I, 21 settembre 2005, n. 18604, Cass. civ. Sez. I, 3 ottobre 2005, n. 19291; Cass. civ. Sez. I, 7 febbraio 2006, n. 2625, Cass. civ. Sez. I, 27 giugno 2006, n. 14840; Cass. civ. Sez. I, 25 agosto 2006, n. 18547; Cass. civ. Sez. I, 9 ottobre 2007, n. 21097; Cass. civ. Sez. VI, 27 maggio 2014, n. 11797; Cass. civ. Sez. VI, 10 giugno 2014, n. 13026).
In conclusione per quanto concerne l’assegno di separazione si può quindi affermare il principio generale, continuativamente sostenuto in giurisprudenza, secondo cui l’assegno di separazione ha la funzione di garantire al coniuge debole, che non fruisce di redditi adeguati, il mantenimento di un tenore di vita sostanzialmente analogo a quello goduto nel corso della convivenza pregressa con l’altro coniuge.
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